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Il Merkeloma

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06/01/2021

Il Merkeloma
Epidemiologia
Staging

Il Merkeloma o carcinoma a cellule di Merkel (MCC, Merkel cell carcinoma) è una neoplasia neuroendocrina cutanea rara. Tipicamente colpisce zone di cute esposta al sole di soggetti anziani ed è caratterizzata da un decorso clinico aggressivo con tendenza alla recidiva locale e/o alla metastatizzazione linfonodale e a distanza(1), con tassi di mortalità doppi rispetto al melanoma(2). Descritta per la prima volta nel 1972 come “carcinoma trabecolare della cute”(3) 6 anni dopo, studi di microscopia elettronica, ne hanno definito la natura neuroendocrina, portando a quella che è la nomenclatura odierna cioè “carcinoma a cellule di Merkel” (4). Le cellule tumorali che la caratterizzano infatti risultano simili alle cellule di Merkel, localizzate nello strato basale dell’epidermide, in particolare attorno ai follicoli piliferi. Le cellule di Merkel fungono da meccanocettori per le stimolazioni sensitive fini risultando associate a nervi afferenti sensitivi, e al contempo hanno caratteristiche neuroendocrine esprimendo marker tipici come la cromogranina-A, sinaptofisina e citocheratina 20 (CK20)(5) . Allo stesso modo le cellule del Merkeloma  esprimono i medesimi marker. Tuttavia ad oggi, poiché le cellule di Merkel risultano essere cellule estremamente specializzate a differenziazione terminale,  non vi è certezza da quale cellula  realmente origini il Merkeloma.

L’eziologia è sconosciuta, ma epidemiologicamente è dimostrato un legame con l’esposizione solare, gli stati immunodepressivi e l’infezione da un peculiare Polyomavirus. Nel 2008 Feng et al. infatti hanno identificato un Polyomavirus, fino ad allora sconosciuto, le cui sequenza di DNA risultano presenti nell’80% dei MCC(6) Questo reperto è stato successivamente confermato da altri studi tanto che il virus è stato chiamato Merkel cell polyomavirus (MCPyV). Recentemente tecniche di sequenziamento ad alta sensibilità hanno dimostrato che il MCPyV è presente in quasi tutti i casi anche se con cariche virali estremamente variabili (7). E’ stata osservata una forte correlazione tra la presenza del virus e stati di alterata risposta immunitaria cellulo-mediata(8) spiegando quindi la relativa maggiore incidenza di MCC in pazienti trapiantati, portatori di patologie onco-ematologiche o in trattamento immunosoppressivo. È noto che un’ampia esposizione a questo virus ubiquitario si verifica all’inizio della vita, ma livelli di anticorpi più elevati negli individui più anziani suggeriscono una riattivazione virale con l’aumentare dell’età(9).

Epidemiologia

Il MCC è un tumore raro, costituendo meno dell’1% dei tumori cutanei maligni(10), tuttavia, nonostante la rarità, l’elevata aggressività fa si che rappresenti la terza causa più frequente di morte per cancro della pelle dopo il melanoma e il carcinoma a cellule squamose.(11)  L’incidenza globale del MCC ha registrato un aumento nell’ incidenza di 3 volte negli ultimi decenni, negli Stati Uniti si è passati da 0,15 per 100000 abitanti nel 1981 a 1,44 per 100000 abitanti nel 2011 (12). Aumenti analoghi si sono registrati anche in Europa ed in Australia(13). Tale aumento complessivo  è attribuibile da un lato dall’aumentata esposizione ai fattori di rischio ( esposizione ai raggi UV, all’invecchiamento generale della popolazione e all’aumento complessivo degli stati di immunocompromissione ( imunossoppressi-immunodepressi)), dall’altro ad una miglioramento delle tecniche  diagnostiche sia cliniche (dermatoscopia) che immunoistochimiche(14).  Il MCC colpisce principalmente le popolazioni bianche, ma appare eccezionalmente anche nelle persone di colore. La prevalenza negli Stati Uniti è leggermente superiore negli uomini rispetto alle donne (1,4: 1) (10), mentre in Francia risulta superiore nelle donne (1:1,6)(15). Colpisce generalmente  persone di età avanzata, con un picco tra la settima e l’ottava decade (16), con un’ età media alla diagnosi di 75 anni(17)mentre solo il 5% dei pazienti ha meno di 50 anni : in questi casi il tumore è solitamente associato a qualche forma di immunosoppressione(18).  Sono stati descritti anche rarissimi casi in età pediatrica(19).

Fattori di rischio

IL MCC è associato al danno da esposizione ai raggi UV, all’immunocompromissione ed alla presenza del poliomavirus umano, MCPyV integrato nel DNA delle cellule tumorali. La presenza o meno del virus va a delineare 2 sottotipo particolari di Merkeloma: MCPyV + MCC e MCPyV  MCC che condividono le stesse alterazione genetiche ma innescate da meccanismi differenti.

La correlazione tra MCC e radiazione UV è supportata da numerosi studi (20). In particolare, la pigmentazione della pelle sembra proteggere dal MCC, poiché gli individui neri, asiatici e ispanici hanno un rischio notevolmente inferiore di sviluppare MCC rispetto alle popolazioni bianche con fototipo chiaro (I-III). Ulteriori evidenze derivano dalla frequente comparsa di MCC in pazienti anziani su pelle esposta al sole cronicamente, dall’aumentata incidenza di MCC in soggetti trattati con fotochemioterapia UVA e dall’osservazione che molti pazienti con MCC hanno una storia di altri tumori della pelle associati all’esposizione solare, per esempio una storia di melanoma è collegata a un rischio tre volte maggiore di MCC (21). Tuttavia, una firma UV molecolare (come per esempio la formazione dei dimeri di pirimidine) è stata dimostrata solo in un sottogruppo di casi di MCPyV – MCC(22); quindi, l’associazione tra esposizione ai raggi UV nei pazienti MCPyV + MCC, agirebbe con meccanismi differenti, come per esempio , la soppressione immunitaria UV indotta.  Infatti, come visto gli stati di immunocompromissione giocano un ruolo eziologico cruciale: MCC è più frequente nei pazienti con leucemia, linfoma (in particolare leucemia linfocitica cronica a cellule B) o infezione da HIV(23) e in coloro che sono immunosoppressi a seguito di trapianto di organi o altre cause(24). In particolare,  il ruolo cruciale dell’ immuno-sorveglianza nel controllo della crescita e della progressione del tumore è evidenziato dalla precoce età di insorgenza e dalla più elevata aggressività del Merkeloma negli individui immuncompromessi rispetto ai pazienti immunocompetenti(25).

Clinica

Il MCC si presenta tipicamente nei pazienti più anziani con fototipi chiari, prevalentemente sotto forma di lesione nodulare a crescita rapida, asintomatico, di consistenza dura, superficie liscia e lucida e colorito roseo, rosso-bluastro o violaceo. Raramente si presenta ulcerato o dà origine a lesioni crostose; tali aspetti sono più frequenti delle lesioni in fase avanzata(26). La topografia del MCC vede come sedi preferenziali le aree esposte al sole (27) risultando maggiormente frequente a livello del distretto testa-collo (48%), seguito dagli arti superiori e spalle (24%), arti inferiori (15%), tronco (11%) e  altre regioni corporee (9%). A parte la cute, circa il 5% dei casi di MCC insorge a livello mucosale e la laringe risulta la sede più frequente. Il MCC può essere diagnosticato tardivamente in quanto interpretato nelle fase precoci erroneamente o come lesione benigna o come una differente neoplasia  (28) Clinicamente, il MCC deve essere differenziato da molte lesioni benigne e maligne che insorgono sulla cute cronicamente fotoesposta, come il carcinoma basocellulare, il carcinoma squamocellulare, il cheratoacantoma, il melanoma amelanotico, il granuloma piogenico, il lipoma, molti tumori annessiali e rare forme di linfoma cutaneo primitivo a cellule B della cute.

La diagnosi precoce del MCC è fondamentale per quanto riguarda la prognosi: in uno studio su più di 8.000 casi infatti, il diametro della neoplasia è risultato correlato significativamente con la percentuale di coinvolgimento linfonodale che rappresenta uno dei fattori prognostici sfavorevoli per il decorso clinico. Per pazienti con neoplasia di piccole dimensioni (5 mm) infatti, il rischio di coinvolgimento linfonodale era del 20%, ma passa a più del 40% per pazienti con lesioni di maggiori dimensioni (29). Le caratteristiche cliniche che suggeriscono una diagnosi di MCC possono essere facilmente ricordate con l’acronimo AEIOU (30):

  • A: asintomatico (88% dei casi);
  • E: espansione rapida (crescita significativa in meno di 3 mesi nel 63% dei casi);
  • I: immunosoppressione (HIV, trapianto di organo solido, LLC nel 18% dei casi);
  • O: età avanzata (in inglese older age, nel 90% dei casi);
  • U: aree fotoesposte in pazienti con fototipo chiaro (in inglese UV-exposed areas nel 81% dei casi).

La presenza di almeno tre di queste caratteristiche può far avanzare il sospetto clinico. La biopsia della lesione e l’esame istologico sono necessari per una diagnosi corretta. Il ruolo della dermoscopia nella diagnosi del MCC è ancora da definire, in quanto i dati sui reperti dermoscopici sono limitati e non sono state identificate caratteristiche specifiche. I reperti dermoscopici più caratteristici sono rappresentati da vasi irregolari lineari e vasi polimorfi, aree lattescenti e aree bianche brillanti “a croce” (31).

Staging

L’MCC di solito diffonde prima ai linfonodi; quindi, la biopsia del linfonodo sentinella (SLNB) rappresenta un’importante procedura di stadiazione(32) . Nel più recente sistema di stadiazione AJCC, adottato nel 2018, quattro fasi cliniche del MCC sono riconosciute in base alle caratteristiche al momento della presentazione: stadio 0 ( in situ ), stadio I (malattia localizzata, lesione primaria ≤2 cm), stadio II (malattia localizzata, lesione primaria> 2 cm), stadio III (diffusione linfonodale) e stadio IV (malattia metastatica oltre)(33) . La sopravvivenza dipende dallo stadio alla diagnosi: la sopravvivenza a 5 anni è del 62,8% nei pazienti con MCC in stadio I, 34,8-54,6% nello stadio II, 26,8-40,3% nello stadio III e 13,5% nello stadio IV (34) . Le recidive locali o a distanza di solito si verificano entro i primi 2-3 anni dalla diagnosi iniziale; quindi, i pazienti il ​​cui cancro non si è ripresentato entro 3 anni hanno un rischio di recidiva sostanzialmente ridotto. Dopo aver stabilito una diagnosi di MCC, è necessario un ulteriore workup con un esame fisico, imaging per stabilire il corretto percorso terapeutico.

Terapia: Tumore primario

L’escissione chirurgica ampia del tumore primitivo con valutazione istologica dei margini rappresenta lo standard di cura. Tuttavia non sempre risulta praticabile(35,36)poichè infatti, circa il 40-50% degli MCC si trova sulla testa e sul collo e l’escissione ampia può avere implicazioni funzionali o estetiche inaccettabili. Allo stesso modo, i pazienti possono non essere idonei per un intervento chirurgico esteso se questo comporta anestesia generale ad alto rischio e potenziali complicanze postoperatorie. Inoltre, in letteratura, non esiste una valutazione formale dei margini di escissione appropriati e del rischio di recidiva. Tuttavia, il tasso di recidiva locale è significativamente più alto con piccole escissioni ed è particolarmente alto in caso di margini di resezione chirurgica positivi(37). Le linee guida della National Comprehensive Cancer Network (NCCN) e della European Association of Dermato-Oncology (EADO)–European Organisation for Research and Treatment of Cancer (EORTC) raccomandano un margine di escissione di 1-2 cm fino alla fascia muscolare o al pericranio , indipendentemente dalle dimensioni del tumore(36). L’escissione può essere eseguita attraverso l’utilizzo della chirurgia micrografica di Mohs, un intervento chirurgico controllato al microscopio che prevede la valutazione istologica intraoperatoria completa dei margini( laterali e profondi) del materiale asportato per confermare la resezione completa del tumore; tuttavia l’esperienze ed i dati a riguardo risultano  limitati per il MCC(38). Da notare che, il margine di sicurezza è inteso a rimuovere metastasi satellite microscopiche piuttosto che a garantire margini di resezione chiari del tumore primario(39). Qualsiasi ricostruzione che implichi lo spostamento del tessuto deve essere posticipata fino a quando i margini negativi non sono stati confermati e viene eseguito l’SLNB, se applicabile ed indicato. Le tecniche chirurgiche per la ricostruzione del difetto cutaneo dovrebbero tenere conto dell’ulteriore radioterapia adiuvante. La gestione chirurgica delle recidive locali non è ben definita. In molti casi, questi vengono trattati in modo simile al tumore primario, ma non sono stati condotti studi formali per testare questo approccio(40).

 Malattia locoregionale

Se i linfonodi del bacino drenante sono clinicamente negativi, l’SLNB deve essere considerata e pianificata contemporaneamente all’escissione locale ampia, poiché le micrometastasi linfonodali clinicamente occulte sono presenti nel 30% circa dei pazienti. Sebbene uno studio retrospettivo suggerisse che i pazienti con un diametro del tumore <10 mm avevano una probabilità inferiore di avere metastasi dei linfonodi regionali, una revisione sistematica di 36 studi che coinvolge 692 pazienti ha rivelato che il 30% dei pazienti aveva un SLNB positivo, coerente con la propensione di MCC per metastatizzare ai linfonodi anche se il tumore primario è piccolo(41). La presenza di metastasi linfonodali occulte è un forte fattore prognostico (42) ; la sopravvivenza globale a 3 anni riportata è stata dell’88% per i pazienti con SLNB negativo rispetto al 57,2% per i pazienti con SLNB positivo(43). SLNB è pertanto consigliabile quando possibile nei pazienti con linfonodi clinicamente negativi, indipendentemente dalla dimensione del tumore primario(44) A causa dei dati limitati, vi è una mancanza di consenso sull’approccio ottimale nel caso in cui venga rilevata una micrometastasi nodale. Si presume generalmente che un sottogruppo di pazienti (ad esempio, fino al 30% in uno studio pubblicato)(43)  ospiterà MCC subclinico nei linfonodi di livello successivo e potrebbe progredire a metastasi linfonodali cliniche se non trattata. Le opzioni di trattamento includono la dissezione linfonodale completa e/o la radioterapia regionale elettiva al distretto linfonodale drenante, ma nessuna di queste è stata confrontata in modo randomizzato. Di norma, i pazienti richiederanno la radioterapia adiuvante ad ampio campo al sito del tumore primario e questi pazienti potrebbero, pertanto, essere considerati per la radioterapia loco-regionale per ridurre il rischio di diffusione nodale o recidiva. In particolare, uno studio su pazienti con coinvolgimento linfonodale ha dimostrato che la sola radioterapia ai linfonodi regionali positivi conferiva benefici paragonabili a quelli della dissezione linfonodale completa (44)con o senza radioterapia adiuvante.  Tuttavia, fino a quando queste osservazioni non saranno confermate da ulteriori studi clinici, i pazienti con linfonodi clinicamente positivi dovrebbero essere sottoposti a dissezione linfonodale completa. Le metastasi satellite isolate o in transito intorno al tumore primario devono essere rimosse chirurgicamente se è possibile una resezione; in caso contrario, dovrebbe essere presa in considerazione la radioterapia o la terapia sistemica.

Radioterapia

In molti casi, la radioterapia adiuvante ad ampio campo al sito del tumore primario e, in alcuni casi, al bacino linfonodale drenante è consigliata dopo l’intervento chirurgico(45). Il  MCC è molto sensibile alla radioterapia pertanto, la radioterapia esclusiva può essere presa in considerazione nei pazienti ritenuti inoperabili(46) . La radioterapia per tumori e/o linfonodi positivi può controllare la malattia nel 75-85% dei casi. Con un’attenta pianificazione, anche i pazienti anziani possono tollerare la radioterapia, poiché il volume trattato è solitamente relativamente modesto.  Se SLNB non può essere eseguito, la radioterapia adiuvante al bacino dei linfonodi potrebbe essere utile per il controllo locale(47)  questo beneficio deve essere bilanciato con il potenziale di effetti avversi a lungo termine.

Chemioterapia

Fino al 2016, prima dell’introduzione dell’immunoterapia, i trattamenti più utilizzati per MCC metastatico non suscettibili di intervento chirurgico erano regimi chemioterapici spesso utilizzati per altri carcinomi a piccole cellule; questi includono regimi a base di platino, etoposide, taxani e antracicline, da soli o in varie combinazioni(48). La logica di questo approccio era l’osservazione che MCC ha una morfologia cellulare simile a quella di altri carcinomi a piccole cellule, nonché il fatto che questo trattamento ha portato a risposte clinicamente significative in un sottogruppo di pazienti con MCC. Le risposte non sono prolungate, con prognosi sfavorevole in caso di recidiva / progressione e un tasso di mortalità del 33% (49).Inoltre, i rapporti sulla chemioterapia per MCC sono scarsi, con la maggior parte degli studi che sono dei case report. In tutti gli studi, i tassi di risposta variano dal 20 al 61%, con tassi di risposta più elevati nel contesto di prima linea (53-61%) rispetto al contesto di seconda linea (23-45%) e con una durata della risposta breve in entrambi i casi.

Immunoterapia

Numerose evidenze indicano come Il pathway del checkpoint immunitario PD1-PDL1 possa rappresentare un obiettivo terapeutico chiave per riattivare le risposte immunitarie contro il MCC. Il  MCC è stato infatti identificato come un cancro fortemente immunogenico (50) , le risposte immunitarie agli antigeni T MCPyV sono presenti nei di pazienti con MCC (51) e cellule T infiltranti il ​​tumore (specifiche per le proteine ​​MCPyV o non specifiche) sono state evidenziate in alcuni MCC (52) . L’immunogenicità del MCC è facilmente spiegabile dall’espressione costitutiva delle proteine ​​virali in MCPyV +MCC e dall’altissima frequenza di mutazioni del DNA con forte incremento del Tumor mutational burden (TMB) associate al danno UV negli MCPyV  MCC. L’iperespressione di PD-L1 è una delle caratteristiche predominanti del MCC, sia virus-correlato che non, riscontrabile a carico non solo delle cellule neoplastiche ma anche delle cellule immunitarie infiltranti (53). Gli aspetti biologici ed immunologici descritti hanno reso il MCC un banco di prova ideale per la sperimentazione dell’immunoterapia, come già accaduto per altre neoplasie ad alta immunogenicità come il carcinoma non a piccole cellule del polmone (NSCLC) ed il melanoma. Ad oggi, diversi inibitori dei checkpoint immunitari si sono dimostrati efficaci nel trattamento del MCC avanzato in prima linea ed in ulteriori linee di terapia. È importante sottolineare che tre studi clinici di fase II open-label con anticorpi terapeutici contro PD1 o PDL1 hanno dimostrato tassi di risposta elevati (54) e decisamente più duraturi rispetto a quelli riportati nei pazienti trattati con chemioterapia. Il primo studio che ha sperimentato il blocco del checkpoint immunitario utilizzando l’anticorpo anti PD-1 Pembrolizumab in pazienti con MCC in stadio avanzato, il tasso di risposta è stato del 56% (59% in virus positivo e 53% in virus negativo)(55). Il tasso di sopravvivenza libera da progressione a 6 mesi è stato del 67%, rispetto al 24% della chemioterapia (56) . Il secondo studio più ampio ha documentato l’inibizione del checkpoint immunitario utilizzando l’anticorpo anti-PD-L1 Avelumab come terapia di seconda linea in pazienti con MCC che progrediva dopo la chemioterapia (57). Questo studio ha mostrato un alto tasso di risposta in pazienti sia  MCPyV+ MCC che  MCPyV MCC con l’inibizione di PDL1 come terapia di seconda linea.  Dei 28 pazienti che hanno risposto, 23 (82%) hanno comunque mantenuto la loro risposta iniziale a un follow-up mediano di 10,4 mesi.  Anche in una coorte di pazienti naive alla chemioterapia  avelumab ha mostrato un tasso di risposta simile a quelli riportati per gli anticorpi anti-PD1 (58). Da notare, in tutti e tre gli studi, la risposta alla terapia di blocco del checkpoint immunitario era indipendente dallo stato di espressione di MCPyV o PD-L1. Anche il Nivolumab è stato studiato quale anti-PD1 nel MCC avanzato. In uno studio di fase I/II sono stati reclutati 25 pazienti con MCC naïve o precedentemente trattati. Ad un follow-up mediano di 51 settimane, il RR è stato del 64%, indipendentemente dall’espressione di PD-L1 e dallo stato di MCPyV, ma è risultato maggiore nei pazienti naïve al trattamento (71%) rispetto a quelli trattati in precedenza (63%) (59). A tre mesi, il tasso di sopravviveza  era dell’82%. Questi studi dimostrano che l’immunoterapia può portare benefici ai pazienti con malattia in stadio avanzato ed è superiore a qualsiasi forma di terapia finora utilizzata; tuttavia, una parte sostanziale degli MCC in stadio avanzato non risponde agli inibitori PD1-PDL1(resistenza primaria). Pertanto, sono in corso diversi studi clinici di inibitori del checkpoint immunitario per MCC, comprese combinazioni con inibitori citotossici della proteina 4 dei linfociti T (CTLA4), cellule T adottive o trasferimento di cellule natural killer o altri nuovi agenti terapeutici(60).

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Testo redatto dal Dott. Giulio Gualdi

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